Ne è un esempio Simone Tosca di 42 anni. Originario di Piacenza e trasferitosi a Oslo per lavorare nel Museo Nazionale. Lui è prima artista e poi dipendente lavorativo. A differenza dell’Italia, in Norvegia la rete di sostegno pubblico è solida. “Se hai un progetto valido ci sono concrete possibilità di ottenere fondi”
“In Italia avevo sempre quella spiacevole sensazione di andare in pellegrinaggio ogni volta che avevo a che fare con persone con un minimo, non dico di potere, ma di ruolo”
Simone ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna: “Fu un momento di sperimentazione fondamentale, ma le prime vere opere arrivarono in seguito al ritorno a Cortemaggiore, un borgo dalle aspettative deluse immerso nella nebbia padana, che tende naturalmente a scomparire. Quale migliore opportunità? Poi le mostre, i viaggi, i soldi e Milano. Successivamente Oslo, la fine dei soldi e la necessità di reimpostare la propria vita alla soglia dei quarant’anni”.
Simone ha una famiglia in Norvegia con due figli ed una compagna. Lui si occupa di “arte sonora digitale” e ne è uno dei pionieri sul luogo. Si tratta di performance espressive basate su creazioni particolari che “vanno percorse” più che osservate.
“Agli artisti norvegesi il mercato interessa poco. Generalizzando, hanno un forte senso dell’etica, quindi mischiare arte e mercato significa un po’ compromettersi. Un’idea allo stesso tempo old-fashioned e terribilmente attuale. Non hanno una reale urgenza di iniziare a collaborare con gallerie private a fini commerciali, visto che lo Stato fa molto per supportare il loro lavoro. E questo, paradossalmente, è un enorme vantaggio rispetto all’Italia per un successivo ingresso nel mercato”.